donne e dee

Calipso, chiara tra le dee - Od, V 148-224


Lei si recò dal magnanimo Odisseo, la ninfa possente, quando ebbe udito il messaggio di Zeus. Lo trovò seduto sul lido: i suoi occhi non erano mai asciutti di lacrime, passava la dolce vita piangendo il ritorno, perché ormai non gli piaceva la ninfa. Certo la notte dormiva, anche per forza, nelle cave spelonche, senza voglia, con lei che voleva; ma il giorno, seduto sugli scogli e sul lido, lacerandosi l’animo con lacrime, lamenti e dolori, guardava piangendo il mare infecondo. Ritta al suo fianco gli parlò, chiara fra le dee: «Infelice, non starmi qui a piangere ancora, non rovinarti la vita: ti lascerò andare ormai volentieri. Ma su, taglia dei grossi tronchi con l’ascia di bronzoe costruisci una zattera larga: sopra conficca dei fianchi, perché ti porti sul fosco mare. Io vi porrò in abbondanza del cibo, acqua e rosso vino, che ti tengano lontana la fame; ti coprirò di panni; ti invierò dietro un vento, perché possa giungere incolume nella tua terra, se gli dei che hanno il vasto cielo lo vogliono, che quando pensano e agiscono sono più potenti di me». Disse così: rabbrividì il paziente chiaro Odisseo e parlando le rivolse alate parole: «Un’altra cosa, non di mandarmi, tu mediti, o dea, che mi esorti a varcare il grande abisso del mare, terribile e duro, con una zattera: ma neanche navi librate, veloci, che godono del vento di Zeus, lo varcano. Né io monterò su una zattera contro la tua volontà,se non acconsenti a giurarmi, o dea, il giuramento solenne che non mediti un’altra azione cattiva a mio danno». Disse così; sorrise Calipso, chiara fra le dee, lo carezzò con la mano, gli rivolse la parola, gli disse: «Sei davvero un furfante e non pensi da sciocco: che discorso hai pensato di farmi! Sia ora testimone la terra e in alto il vasto cielo e l’acqua dello Stige che scorre (che è il giuramento più grande e terribile per gli dei beati) che non medito un’altra azione cattiva a tuo danno. Ma penso e mediterò quello che per me io vorrei, se fossi in tale bisogno: perché anche io ho giusti pensieri, e nel petto non ho un cuore di ferro, ma compassione». Detto così lo guidò, chiara fra le dee, sveltamente: dietro la dea andò lui. Arrivarono, la dea e l’uomo, nella cava spelonca.

 quando furono sazi di cibo e bevanda, tra essi cominciò a parlare Calipso, chiara fra le dee: «Divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie, e così vuoi ora andartene a casa, subito, nella cara terra dei padri? E tu sii felice, comunque. Ma se tu nella mente sapessi quante pene ti è destino patire prima di giungere in patria, qui resteresti con me a custodire questa dimora, e saresti immortale, benché voglioso di vedere tua moglie, che tu ogni giorno desideri. Eppure mi vanto di non essere inferiore a leiper aspetto o figura, perché non è giusto che le mortali gareggino con le immortali per aspetto e beltà». Rispondendo le disse l’astuto Odisseo: «Dea possente, non ti adirare per questo con me: lo so bene anche io, che la saggia Penelope a vederla è inferiore a te per beltà e statura: lei infatti è mortale, e tu immortale e senza vecchiaia. Ma anche così desidero e voglio ogni giorno giungere a casa e vedere il dì del ritorno. E se un dio mi fa naufragare sul mare scuro come vino, saprò sopportare, perché ho un animo paziente nel petto: sventure ne ho tante patite e tante sofferte tra le onde ed in guerra: sia con esse anche questa»



Calipso rappresenta dunque la tentazione divina :l'immortalità. questa proposta però non persuade l'eroe ma addirittura egli si strugge nel rimpianto al punto da "voler morire" piuttosto che accettare di vivere per sempre nell'isola "fuori dal mondo". se accettasse l'immortalità e non scappasse da Ogigia per tornare ad Itaca, nessuno saprebbe delle sue avventure, nessuno parlerebbe di lui, dovrebbe rinunciare alle sue astuzie, alla sua fama, alla sua identità.

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