nel mondo dell'ignoto

L'identità di Odisseo si costruisce nel racconto dell'eroe alla corte dei feaci che occupa i canti IX- XII. il viaggio si svolge in un luogo irreale, popolato di mostri, streghe che porterà Odisseo fin nel regno degli inferi.

Circe, la maga, e le Sirene sono accomunate dal canto, elemento che caratterizza le donne libere e tentatrici (anche Calipso).
Circe vive in uno splendido palazzo e trascorre il tempo tra il canto e la tessitura ma possiede anche poteri magici: filtri, bacchetta, formule magiche. Figlia del Sole e zia di Medea. trasforma gli uomini in porci. Odisseo riuscirà a salvarsi solo grazie all'aiuto di Hermes che gli rivela l'antidoto alla maga (l'erba moly). Circe così da antagonista diverrà aiutante del nostro eroe, rivelandogli i passi da compiere per ritornare in patria.

Presentazione e lettura (P.Rossi)

 Odisseo e Circe. La misura e l'illimitatezza (D.Fusaro)



Quindi, per mezzo a le selve dell’isola, Ermète a l’Olimpo
fece ritorno; ed io mi volsi alla casa di Circe;
e m’ondeggiava in vario tumulto, appressandomi, il cuore.
Della ricciuta Dea ristetti alla soglia. E qui, fermo,
un grido alto levai. Udí la mia voce la Diva,
súbito fuori usci, le lucide porte dischiuse,
e mi chiamò: col cruccio nel cuor, tenni dietro ai suoi passi.
Essa in un trono mi fece sedere, dai chiovi d’argento,
istoriato, ricco; né ai piedi mancò lo sgabello.
Quindi, in un vaso d’oro mi pose un intriso, da berlo;
e, macchinando il mio male, l’aveva d’un farmaco infuso.
Or, poi che l’ebbi bevuto, ma nulla era stato l’incanto,
su me batté la verga, volgendomi queste parole:
«Va’ nel porcile, sdràiati adesso con gli altri compagni!»
     Disse. Ma io, sguainata dal fianco l’aguzza mia spada,

sopra di lei m’avventai, sí come volessi sgozzarla.
Essa, con un grande urlo, s’abbassò, mi strinse i ginocchi,
e, singhiozzando, queste parole veloci mi disse:
«Chi sei tu mai? Di dove? I tuoi genitori chi sono?
La tua città? Stupore mi prende, che tu quell’intriso
hai tracannato, e schivato l’incanto. Nessun dei mortali
che trangugiato l’avesse, potè mai sottrarsi a quel filtro.
Certo lo scaltro Ulisse devi essere tu. Tante volte
me lo predisse già l’Argicida dall’aurea verga,
che, ritornando da Troia, su negro veloce naviglio,
qui tu saresti approdato I Ma via, la tua spada riponi
ora nel fodero; e poi saliam sul mio letto: ché quivi
nei cuor d’entrambi induca fiducia l’amplesso d’amore».
     Disse cosí. Ma io risposi con queste parole:
«Circe, come vuoi tu che teco benigno mi mostri?
Fra le tue mura, in ciacchi tu m’hai trasformati i compagni;
ed ora ch’io son qui, macchinando una frode, m’inviti
ch’entri nella tua stanza, che ascenda il tuo letto d’amore,
si che tu poi mi renda, senz’armi, misero e imbelle.
No, che davvero non voglio salire il tuo letto, se prima
tu non intendi farmi sicuro, col gran giuramento,
che contro me qualche altro malvagio disegno non trami».
Dissi; e súbito quella giurò come io volli; e quando ebbe
fatto quel giuro, di Circe bellissima il talamo ascesi.

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